Grazie alla vita sempre

Grazie alla vita sempre

“Ecco, quando vengo qui, poi esco più leggera, la vita mi formicola nelle gambe, sento il sole sulla pelle e penso che ho tutto il cielo da bere con gli occhi, il profumo dei fiori da annusare, e mi sento vaporosa come una farfalla che metti sotto il bicchiere e già reclina le ali e poi, liberata, vola via, perché le hanno regalato il mondo e l’avvenire”. Tratto da Il volo dei cuori sospesi.

 

A parlare è Rebecca che ha appena visitato uno di quei cimiteri di montagna, con il cancello arrugginito e la ghiaia che scricchiola sotto i piedi. I vecchi lo chiamano camposanto. E io lo ricordo, perché quel paese, che nel libro si chiama Arunno, esiste davvero e nella realtà si chiama Runo ed è vicino a Dumenza. Ricordo le tombe impolverate e una in particolare con una violetta di ceramica e una frase: rimpianto! Con un punto esclamativo.

Ero una bimba come Rebecca, con le ginocchia sbucciate, e pensieri ‘grandi’ che mi giravano per la testa. Pensavo al mio papà che sotto terra ci era finito a 39 anni.

Sono uscita di lì correndo, con le lacrime che mi scorrevano sulla faccia e il moccio al naso. Qualche anno prima, al cimitero, portavo una caramella al mio papà, la nascondevo sotto i sassolini bianchi, era il mio regalo per lui e pensavo che davvero lui potesse, in qualche modo, magari la notte, prenderla e succhiarla.

Ma quella volta del cimitero di montagna avevo già dieci anni e sapevo che quel bonbon se lo sarebbero mangiato le formiche, perché mio padre non c’era più. Punto e basta.

Rimpianto!

E invece no. Si va avanti, noi che la vita ce l’abbiamo ancora sotto pelle. Noi che possiamo esistere!

Non avrebbero fatto bene, quelle lacrime, a mio padre. Mi aveva messo al mondo non per soffrire, non per stare male, ma per cercare di essere felice.

Glielo dovevo. Lo dobbiamo noi tutti a chi ci ha regalato quel miracolo che si chiama vita.

E allora vietato piangersi addosso. Vietato tradirsi, giocare al ribasso, dire a sé stessi, tanto ormai! Se sei viva vuol dire che ci sono ancora delle possibilità. C’è sempre qualcosa da salvare, di cui essere fiera. Vietato per la stessa ragione darla vinta a chi gode a farci sentire nessuno, a chi ci fa credere che non valiamo molto. Ricordiamoci, come dice anche Rebecca nel libro che: “chi gode a farti sentire piccolo non è un grande uomo ma solo un grande vigliacco”.

E teniamo a mente, invece, che siamo uno straordinario miracolo, che abbiamo un cuore che è unico in tutto l’universo e qualcuno gli ha messo dentro il soffio della vita e l’ha costruito cellula dopo cellula solo per noi. Ricordiamo che abbiamo dei piedi per correre verso il mare e sentire la sabbia e l’acqua che solleticano le dita. Qualche volta cadremo e ci potremo anche sbucciare le ginocchia ma la meraviglia è che il nostro sistema immunitario invierà delle cellule a riparare la ferita e noi potremo rialzarci e tornare a correre. Quella di ritirarsi dal mondo per paura di soffrire, di chiudersi in sé e lasciare il cuore sospeso nel limbo di una vita vissuta con il freno a mano tirato, come fa Ariele, non è mai una bella idea. Meglio spalancare la porta alla speranza: di un giorno nuovo gonfio di sole, dell’abbraccio di un amico, di un sogno che se ci crediamo davvero potrebbe anche avverarsi, di una passeggiata in bicicletta con il vento che ci scompiglia i capelli e le idee . Apriamoci alla primavera che arriva sempre, anche dopo il più rigido degli inverni, che fa fiorire un ciliegio che fino a poco prima sembrava un intrico di rami secchi e morti contro il cielo e poi lo accende di frutti rossi come gioielli, sugosi e maturi. Apriamoci ai cuccioli d’uomo che hanno sempre quel buon odore ingenuo di sano stupore e incanto. Respiriamo il profumo delle caldarroste in autunno, della neve in inverno, e dell’estate con i suoi giorni luminosi e pigri. Per quanto mi riguarda “Voglio essere libera. Libera di emozionarmi, di cadere e sbucciarmi le ginocchia, di scoprirmi esposta, vulnerabile. Libera di rischiare di essere felice” tratto da Lasciami contare le stelle.

 

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